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SESSO E GENERE

La distinzione tra corpo e ruolo sociale

Volume della collana Volantini militanti n. 11
Prezzo: €3,90 / Prezzo di listino: €3,90
Invio senza spese di spedizione
Formato: 150x210, 48 pagine / Febbraio, 2020 / ISBN: 9788893131650
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“Genere” è diventata una parola onnipresente, pur essendo relativamente nuovo il suo impiego al di fuori della grammatica. Il suo primo uso e significato è infatti distinguere nomi, aggettivi anche verbi (in altre lingue) di genere maschile, femminile e neutro (come in latino). È solo dagli anni ‘60 che la parola “genere” viene impiegata per denominare anche i ruoli sociali dei due sessi, cioè il fatto che ciò che fanno uomini e donne, il modo in cui si comportano in famiglia, nella sfera economica governata dal denaro, nel tempo libero, e poi i loro gusti, preferenze, abiti, hobby siano profondamente diversi, ma anche disuguali. Tali diversità e disuguaglianze sono normalmente concepiti e propagati in tutte le società come un dato di natura: gli uomini sono così, le donne sono diverse, e generalmente il tuo sesso determina il tuo modo di stare al mondo, perché determina i compiti che ti sono assegnati, il tuo lavoro, il tuo ruolo nella famiglia, il tutto ritenuto normale e naturale. Il “genere” in senso sociale è qualcosa che diventa evidente solo quando questi ruoli sono contestati, come hanno fatto le femministe in ogni epoca, esprimendo disaccordo su regole e limitazioni penalizzanti per le donne (dopotutto viviamo nel patriarcato…).

Contro la naturalizzazione dei ruoli sociali Simone de Beauvoir affermava: “Donna non si nasce ma si diventa” ne Il secondo sesso (1949), un libro estremamente popolare. Fu attiva nelle lotte delle donne degli anni ’70, in particolare per avere la possibilità di abortire in modo legale. Allora le femministe protestavano contro i doppi standard che rendevano e rendono il ruolo di genere maschile dominante su quello femminile, volendo la scomparsa di questi ruoli: che il lavoro domestico e di riproduzione familiare e sociale sia affidato gratuitamente alle donne, che certe professioni siano riservate agli uomini, che la vita sessuale dei due sessi debba svolgersi con regole opposte: lode al Don Giovanni e biasimo alla puttana!

Oggi invece “genere” è impiegato sempre più frequentemente come sinonimo di “sesso”. Se vivesse oggi Simone de Beauvoir sarebbe costretta a specificare “Donne si diventa, ma la società ti fa diventare tale se nasci femmina”! Se il sociale cancella il substrato biologico su cui è costruito, l’equiparazione di ciò che siamo (maschi, femmine, e anche una piccola minoranza di intersessuati che hanno caratteristiche degli uni e delle altre) con i ruoli sociali che ci sono assegnati origina concetti strani come: “parità di genere”, “identità di genere”, leggi antidiscriminatorie in base al “genere”, l’omosessualità definita nei Principi di Yogyakarta come “attrazione per lo stesso genere”. Sono gli esempi più eclatanti di come utilizzare il concetto di “genere” al posto di “sesso” sia diventato controproducente per le femministe e tutti coloro che credono nell’uguaglianza tra uomini e donne, cioè nel pari valore sociale dei due sessi. Questo Volantino militante mostra in dettaglio l’assurdità e le conseguenze negative di questa confusione, già visibili nel fenomeno degli adolescenti che vogliono cambiare sesso solo perché ribelli al genere.

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